Covid19 – Fase 2: le misure per gli esercizi commerciali

 

Nella cosiddetta “FASE 2” gli esercizi commerciali la cui attività non è sospesa, al fine di limitare e contrastare la circolazione del nuovo coronavirus e garantire acquisti in sicurezza, devono rispettare le seguenti misure di igiene e prevenzione previste dal DPCM 26 aprile 2020.

 

DISTANZA

Assicurare il mantenimento di un metro di distanza interpersonale in tutte le attività.

 

PULIZIA DEI LOCALI 

Garantire l’igiene ambientale con una frequenza di almeno due volte al giorno. 

 

ARIA 

Mantenere un’adeguata aerazione naturale e il ricambio d’aria.

 

IGIENE DELLE MANI

Mettere a disposizione gel igienizzante per la disinfezione delle mani (in particolare accanto a tastiere, schermi touch e sistemi di pagamento).

 

MASCHERINE

Utilizzare le mascherine negli ambienti chiusi e dove non sia possibile il distanziamento sociale.

 

GUANTI

Usare guanti “usa e getta” nelle attività di acquisto, in particolare in caso di alimenti e bevande.

 

INGRESSI DILAZIONATI

Accessi regolamentati e scaglionati secondo le seguenti modalità:

  • attraverso ampliamenti delle fasce orarie;
  • per locali fino a 40 metri quadrati può accedere una persona alla volta, oltre a un massimo di due operatori;
  • per locali di dimensioni superiori a 40 metri quadrati, l’accesso è regolamentato in funzione degli spazi disponibili, differenziando, ove possibile, i percorsi di entrata e di uscita.

 

INFORMAZIONI 

Dare adeguata comunicazione alla clientela per garantire il distanziamento in attesa di entrare.

 

 

STUDIO QUALITY mette a disposizione i propri tecnici per elaborare e contestualizzare LE MISURE DI SICUREZZA ANTI-CONTAGIO per la ripresa lavorativa della vostra attività.

 

Per maggiori informazioni:

Tel: 0171 26 02 39

Mail: info@studioquality.it

 

Fonte: Ministero della salute

EMERGENZA COVID-19: DPCM 26 APRILE e FASE 2 PER LE AZIENDE

 

Il 26 aprile 2020 è stato pubblicato il nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per la così detta “FASE 2 dell’emergenza Covid-19”, che contiene anche l’aggiornamento del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto il 24 aprile 2020 e che va ad integrare quanto indicato il 14 marzo 2020. Nel DPCM sono anche stati inseriti i Protocolli per i cantieri, per il settore del trasporto e della logistica.

 

I nuovi documenti, concordati tra le parti sociali, costituiscono il riferimento nazionale per poter lavorare in sicurezza nella “FASE 2”.

 

La riapertura e/o la prosecuzione delle attività può infatti avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione.

 

LA MANCATA ATTUAZIONE DEL PROTOCOLLO DI SICUREZZA ANTI-CONTAGIO CHE NON ASSICURI ADEGUATI LIVELLI DI PROTEZIONE DETERMINA LA SOSPENSIONE DELL’ATTIVITA’ FINO AL RIPRISTINO DELLE CONDIZIONI DI SICUREZZA.

 

In seguito alle disposizioni emanate del Governo, STUDIO QUALITY mette a disposizione i propri tecnici per elaborare e contestualizzare il PROTOCOLLO DI SICUREZZA ANTI-CONTAGIO per la ripresa delle attività lavorativa nella vostra azienda.

 

 

Per richiedere il documento da adattare alla propria impresa o per ulteriori informazioni,

contattare i seguenti recapiti:

 

Tel: 0171 26 02 39

Mail: info@studioquality.it

 

 

DPCM 26 aprile 2020

Covid-19: Protocollo aziendale anti-contagio

 

La vostra azienda è pronta per riaprire e ripartire?

 

In questo periodo di emergenza Covid-19, per ottemperare alla corretta riapertura delle attività lavorative, le aziende devono dotarsi di prassi e regole per garantire lo svolgimento delle stesse in sicurezza.

Il D.P.C.M. 11/03/2020 raccomanda a tutte le attività produttive e professionali di adottare idonei PROTOCOLLI DI SICUREZZA ANTI-CONTAGIO.

Le aziende, ciascuna secondo il settore, le dimensioni, il processo produttivo, e le intese raggiunte a livello locale e di categoria, devono pertanto attuare propri protocolli aziendali per tutelare la salute delle persone presenti all’interno dell’azienda e garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro al fine di contrastare la diffusione del COVID-19.

A seguito della pubblicazione del Protocollo Condiviso del 14 Marzo 2020 sottoscritto dal Governo e parti sociali, e del rapporto “Emergenza Covid-19: imprese aperte, lavoratori protetti” del 17/04/2020 elaborato dal POLITECNICO DI TORINO in collaborazione con Associazioni, Enti ed Organizzazioni Sindacali CGIL, CISL, UIL, UGL della Regione Piemonte, STUDIO QUALITY mette a disposizione i propri tecnici per elaborare e contestualizzare un PROTOCOLLO DI SICUREZZA ANTI-CONTAGIO per la ripresa delle attività lavorativa nella vostra azienda.

 

Si riporta di seguito un’anteprima dei documenti.

Per maggiori informazioni contattare i seguenti recapiti:

info@studioquality.it

0171 26 02 39

Privacy e Covid-19: Trattamento di dati personali e misure di prevenzione da contagio Covid-19

 

Regole per la raccolta e il trattamento di dati personali

connesso alle finalità di prevenzione da contagio Covid-19

 

Nell’attuale situazione d’emergenza sanitaria, la raccolta e il trattamento dei dati personali si rendono necessari per ragioni di accertamento e prevenzione da contagio Covid-19, ma occorre seguire e rispettare regole ben precise. Sul tema è intervenuto anche il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti lavoro” del 14 marzo 2020.

 

Modalità di ingresso in azienda per dipendenti, visitatori e fornitori 

Secondo quanto disposto dal “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti lavoro” del 14 marzo 2020, il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro, potrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5°, non sarà consentito l’accesso in azienda.

La rilevazione della temperatura corporea sul luogo di lavoro costituisce un trattamento di dati personali. Per tale motivo è fondamentale che la raccolta del dato da parte del datore di lavoro avvenga in conformità con quanto stabilito dalla normativa privacy vigente (GDPR 2016/679 e Codice della privacy).

In relazione a tale trattamento, il datore di lavoro dovrà:

  • registrare la temperatura corporea solo qualora sia necessario a documentare le ragioni che hanno impedito l’accesso ai locali, ossia quando la temperatura rilevata sia superiore ai 37,5°;
  • fornire l’informativa privacy, in forma scritta e/o orale, sul trattamento dei dati personali.

 

Raccolta di informazioni sugli spostamenti – Autodichiarazioni

Come stabilito dal “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti lavoro” del 14 marzo 2020, il datore di lavoro può richiedere al personale e/o a chi intende fare ingresso in azienda informazioni sugli spostamenti.

Il datore di lavoro che intende attestare la non provenienza del dipendente e/o di chi intende far ingresso in azienda dalle zone a rischio epidemiologico e l’assenza di contatti, negli ultimi 14 giorni, con soggetti risultati positivi al Covid-19 deve:

  • prima di tutto informare preventivamente il personale, e chi intende fare ingresso in azienda, della preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al Covid-19 o provenga da zone a rischio, secondo le indicazioni dell’OMS;
  • potrà richiedere il rilascio di una dichiarazione attestante la non provenienza dalle zone a rischio epidemiologico e l’assenza di contatti, negli ultimi 14 giorni, con soggetti risultati positivi al Covid-19. La dichiarazione integra un trattamento di dati personali, per cui sarà necessario raccogliere solo i dati necessari, adeguati e pertinenti rispetto alla prevenzione del contagio da Covid-19 e dovrà essere fornita apposita informativa privacy circa tale trattamento.

 

Misure di sicurezza e organizzative

In relazione a tali nuovi trattamenti di dati personali, laddove effettuati, il datore dovrà adottare ed implementare le seguenti misure di sicurezza ed organizzative.

  • Il datore di lavoro dovrà assicurare modalità tali da garantire la riservatezza e la dignità del lavoratore in caso di isolamento momentaneo e di allontanamento dal posto di lavoro dovuto al superamento della soglia di temperatura, oppure qualora il lavoratore comunichi all’ufficio del personale di aver avuto, al di fuori del contesto aziendale, contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 oppure, ancora, nel caso di allontanamento del lavoratore che durante l’attività lavorativa sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria;
  • Il datore di lavoro dovrà individuare ed autorizzare i soggetti preposti al trattamento, fornendo loro istruzioni adeguate, così da poter garantire la protezione dei dati personali;
  • I dati personali non potranno in alcun modo essere diffusi o comunicati a terzi, al di fuori delle specifiche previsioni normative (es. Autorità sanitaria);
  • I dati raccolti dovranno essere adeguatamente protetti: i supporti cartacei dovranno essere accessibili esclusivamente dal personale autorizzato e conservati in armadi e/o cassetti chiusi a chiave, mentre i supporti elettronici dovranno essere protetti da apposite credenziali di autenticazione conoscibili solo dal personale autorizzato;
  • I dati dovranno essere conservati per il tempo strettamente necessario alle finalità di prevenzione da contagio Covid-19;
  • L’azienda dovrà valutare l’impatto dei nuovi trattamenti sulla protezione dei dati personali: in particolare dovrà essere aggiornata la DPIA – Valutazione d’impatto sulla protezione dei dati personali;
  • L’azienda dovrà aggiornare il Registro dei trattamenti, andando ad includere i nuovi trattamenti di dati personali effettuati.

 

Smart working e misure di sicurezza

Nello stato di emergenza il datore di lavoro deve incentivare, laddove possibile, lo smart working (lavoro agile), tenendo in considerazione le seguenti regole e adottando le seguenti misure di sicurezza.

  • Sicurezza del Pc aziendale: l’azienda deve fornire dispositivi dotati di adeguate misure di sicurezza (antivirus, credenziali di autenticazione…) e deve avvalersi esclusivamente di software affidabili;
  • Sicurezza del PC personale: ove il lavoratore non abbia a disposizione un PC aziendale, occorre assicurarsi che il sistema operativo del PC personale sia aggiornato e di avere un antivirus valido;
  • Custodia dei dispositivi: il lavoratore deve adottare ogni cautela a protezione dei dispositivi usati per l’espletamento dell’attività lavorativa, soprattutto in caso di spostamenti e deve sospendere la postazione in caso di assenza o di allontanamento anche momentaneo;
  • Vpn: l’azienda deve predisporre una connessione vpn dotata di credenziali (che non devono essere memorizzate) per consentire ai dipendenti di accedere alla rete in modo sicuro e tracciabile;
  • Formazione: l’azienda deve assicurarsi che il personale sia informato sui rischi e pericoli connessi alla rete;
  • Chiamate: il lavoratore deve verificare di essere solo quando effettua chiamate o videochiamate di lavoro e, se possibile, deve utilizzare gli auricolari;
  • Distruzione di documenti cartacei: il lavoratore deve evitare di gettare la documentazione nel cestino della carta straccia senza aver previamente provveduto a rendere inintelligibile il contenuto. Qualora sia necessario distruggere i documenti contenenti dati personali, questi devono essere sminuzzati in modo da non essere più ricomponibili;
  • Credenziali di autenticazione (Password): le credenziali di accesso al PC ed agli applicativi lavorativi non devono essere memorizzate su dispositivi personali e occorre evitare di memorizzarle su fogli lasciati vicino alla postazione. Le password devono essere aggiornate periodicamente adottando le classiche regole di complessità;
  • Data breach – Violazione dei dati personali: il lavoratore deve comunicare tempestivamente ogni ipotesi di incidente da cui possa derivare una violazione dei dati personali.

 

Per ulteriori informazioni in merito, sarà possibile contattare i nostri uffici all’indirizzo: info@studioquality.it

 

Etichette Alimentari: Scompare l’obbligo di indicare sempre l’origine di pasta, riso, latte e altri prodotti

Dal 1° aprile 2020 cambieranno le regole sulle etichette alimentari. I produttori saranno costretti ad indicare in etichetta l’origine degli ingredienti principali dei loro prodotti solo in alcuni casi.

 

Attualmente, nel nostro paese, è obbligatorio indicare in etichetta, ad esempio sulle confezioni di alimenti come latte, pasta, riso e prodotti derivati dal pomodoro (come prodotto e come ingrediente contenuto in altri alimenti), la provenienza della materia prima utilizzata. Il consumatore può così avere un’indicazione chiave per capire da dove arriva il cibo che mette in tavola e determinare soprattutto se un alimento è made in Italy.

Questa specifica, (stabilita dal Regolamento 1169 del 2011) che concede agli Stati membri dell’UE la possibilità di ampliare le informazioni in etichetta, è però, salvo sorprese, garantita fino a fine marzo 2020.

Cosa succederà a partire dal 1° aprile è ancora incerto; l’attuale governo italiano sta cercando di correre ai ripari per evitare di veder scomparire quel tassello importante che ci aiuta a scegliere più consapevolmente quello che acquistiamo.

In assenza di novità, il 1° aprile entrerà in vigore la nuova etichettatura di origine comunitaria (Regolamento esecutivo UE 777/2018) che, solo in alcuni casi, sarà sottoposta all’obbligo di indicare la provenienza della materia prima in etichetta.

 

Quando sarà obbligatorio indicare l’origine della materia prima?

Il regolamento esecutivo prevede che i produttori saranno obbligati a fornire in etichetta le informazioni sull’origine, solo quando il luogo di provenienza dell’alimento è indicato – o anche semplicemente evocato – in etichetta e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario. Per ingrediente primario, come spiega la normativa europea, si intende “l’ingrediente o gli ingredienti di un alimento che rappresentano più del 50% di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione di tale alimento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa”.

Ad esempio, se su un pacco di pasta lavorata in Italia compare la bandiera tricolore o un altro simbolo universalmente noto dell’Italia, e il grano utilizzato per realizzarla (cioè l’ingrediente primario) non è italiano, allora il produttore è obbligato a riportarlo in etichetta, altrimenti no. Così come un salume dovrà specificare che la carne proviene da un paese diverso dall’Italia qualora sulla confezione faccia riferimento con “segni o simboli” all’italianità del prodotto.

Si tratta dunque di un regolamento più flessibile rispetto alle specifiche ad oggi ancora in vigore, che permetterà a molti produttori di soprassedere su un’indicazione che è invece molto importante, ossia quella relativa alla provenienza dell’ingrediente primario di uno specifico prodotto. Oggi ad esempio, su un pacco di pasta è sempre obbligatorio inserire l’indicazione della provenienza del grano, a prescindere se sul campo visuale principale dell’etichetta venga o meno indicato o evocato un paese.

Seppur l’indicazione di origine non è di per se’ una garanzia di qualità del prodotto, fornire in etichetta un’informazione aggiuntiva sulla provenienza della materia prima non è solo auspicabile ma aiuta il mercato a fare pulizia come è successo ai pastai che nel 2018, sulla spinta dei consumatori, hanno smesso di acquistare grano dal Canada dove l’uso del glifosato è autorizzato anche prima del raccolto.

 

Quali sono i rischi?

Il Regolamento non si applica ai prodotti a marchio registrato che, “a parole o con segnali grafici”, indicano di per sé la provenienza del prodotto (compresi gli IGP, DOP, STG e biologico poiché essi sono regolamentati da legislazione dedicata).

Questo particolare è fortemente rischioso perché permette alle aziende che falsificano il cibo italiano di continuare a vendere indisturbate proprio grazie al fatto di avere un marchio registrato che richiama all’Italia.

Inoltre, il Regolamento UE che entrerà in vigore ad aprile lascia anche molta flessibilità sul riferimento geografico dell’origine dell’ingrediente primario (da Ue/non Ue, fino all’indicazione del Paese o della regione).

 

Fonte: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018R0775&from=EN

 

L’Italia è il paese europeo che commina più multe per violazioni della privacy

 

Con 30 sanzioni comminate dal Garante della privacy, il nostro paese si piazza primo in Europa per le multe inflitte ai trasgressori della privacy dei dati personali.

 

Secondo uno studio dell’Osservatorio di Federprivacy, (principale associazione di riferimento in Italia dei professionisti della privacy e della protezione dei dati personali) è l’Italia, con 30 sanzioni comminate dal Garante della privacy, il paese europeo che commina più multe per violazioni della privacy.

L’ultimo rapporto statistico elaborato da Federprivacy (“Sanzioni privacy in Europa 2019”), frutto di un’analisi svolta presso le fonti istituzionali dei trenta paesi dello Spazio Economico Europeo (SEE), evidenzia che ammontano a circa 410 milioni di euro le sanzioni che sono state inflitte nel 2019 in 190 procedimenti condotti dalle autorità di controllo per la protezione dei dati personali europee.

L’autorità più severa in assoluto è risultata quella del Regno Unito (ICO), che ha irrogato multe per 312 milioni di euro, pari al 76% del totale complessivo delle nazioni prese in esame, seguita da Francia, Austria, Germania e Italia.

Nella graduatoria invece delle autorità più attive, è l’Italia ad aprire la graduatoria con 30 provvedimenti sanzionatori irrogati nel 2019, per un totale di € 4.341.990, seconda quella Spagnola con 28 sanzioni comminate, seguita dalla Romania, con 20.

 

I settori più colpiti

Il settore maggiormente colpito in termini di numero di sanzioni è quello della Pubblica Amministrazione con il 17 per cento del totale delle multe. Seguono le telecomunicazioni con 28 procedimenti sanzionatori sul totale dei 190 comminati. Al terzo posto con 12 provvedimenti, la sanità. Ponendo l’attenzione sul loro importo economico emerge che a risentire maggiormente delle sanzioni ricevute è il settore dei trasporti e quello alberghiero con rispettivamente importi di 200 e 110 milioni di euro.

(fonte: Grafico elaborato da Federprivacy)

 

La situazione italiana

Se si considera, quindi, che la metà dei provvedimenti totali è stata emessa soltanto da cinque paesi fra quelli analizzati, si comprende come il dato italiano non vada letto in chiave negativa, ma in quella di un’attenta vigilanza del Garante che, come evidenziato dal rapporto emesso da Federprivacy nel primo trimestre del 2019, ha iscritto a ruolo 779 contravventori con una riscossione complessiva prevista di circa 11 milioni di euro.

Fonte: Fererprivacy – https://www.federprivacy.org/informazione/primo-piano/item/1214-privacy-oltre-400-milioni-di-euro-di-sanzioni-in-europa-nel-2019

Infortuni e malattie professionali: i dati Inail tra Gennaio e Ottobre 2019

Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto tra gennaio e ottobre sono state 534.314 (+0,04% rispetto allo stesso periodo del 2018). In aumento le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 51.055 (+2,6%).

Nella sezione “Open data” del sito Inail sono disponibili i dati analitici delle denunce di infortunio – nel complesso e con esito mortale – e di malattia professionale presentate all’Istituto entro il mese di ottobre. Nella stessa sezione sono pubblicate anche le tabelle del “modello di lettura” con i confronti “di mese” (ottobre 2019 vs ottobre 2018) e “di periodo” (gennaio-ottobre 2019 vs gennaio-ottobre 2018).

Gli open data pubblicati sono provvisori e il loro confronto richiede cautele, in particolare rispetto all’andamento degli infortuni con esito mortale, soggetto all’effetto distorsivo di “punte occasionali” e dei tempi di trattazione delle pratiche.

Per quantificare il fenomeno, comprensivo anche dei casi accertati positivamente dall’Inail, sarà quindi necessario attendere il consolidamento dei dati dell’intero 2019, con la conclusione dell’iter amministrativo e sanitario relativo a ogni denuncia.

Nel numero complessivo degli infortuni sono incluse anche le comunicazioni obbligatorie effettuate ai soli fini statistici e informativi da tutti i datori di lavoro e i loro intermediari, compresi i datori di lavoro privati di lavoratori assicurati presso altri enti o con polizze private, degli infortuni che comportano un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento.

 

DENUNCE DI INFORTUNIO

Le denunce di infortunio presentate all’Inail entro lo scorso mese di ottobre sono state 534.314, 240 in più rispetto alle 534.074 dei primi 10 mesi del 2018 (+0,04%).

I dati rilevati al 31 ottobre di ciascun anno evidenziano a livello nazionale un incremento solo dei casi avvenuti “in itinere”, nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, che sono passati da 80.534 a  82.535 (+2,5%), mentre quelli “in occasione di lavoro” registrano un calo dello 0,4% (da 453.540 a 451.779).

Nei primi 10 mesi di quest’anno il numero degli infortuni denunciati è diminuito dello 0,4% nella gestione Industria e servizi (dai 422.222 casi del 2018 ai 420.625 del 2019) e dello 0,3% in Agricoltura (da 28.036 a 27.947), mentre è aumentato del 2,3% nel Conto Stato (da 83.816 a 85.742).

A livello territoriale l’analisi evidenzia una diminuzione delle denunce di infortunio sul lavoro nel Nord-Ovest (-0,1%), nel Nord-Est (-0,4%) e al Sud (-0,6%), mentre nel Centro e nelle Isole l’aumento è stato pari, rispettivamente, all’1,2% e allo 0,8%.

Tra le regioni che hanno fatto registrare le flessioni percentuali maggiori spiccano il Molise (-6,4%) e la Valle d’Aosta (-5,1%). Gli incrementi più consistenti sono invece quelli della Sardegna (+3,9%) e dell’Umbria (+2,0%).

Il lieve aumento delle denunce che emerge dal confronto dei primi 10 mesi del 2018 e del 2019 è legato esclusivamente alla componente femminile, che registra un +0,6% (da 188.785 a 189.945 denunce), a differenza di quella maschile, in diminuzione dello 0,3% (da 345.289 a 344.369).

Per i lavoratori extracomunitari si registra un incremento degli infortuni denunciati pari al 4,9% (da 66.167 a 69.429), mentre le denunce dei lavoratori italiani sono in calo dello 0,6% (da 446.694 a 444.051) e quelle dei comunitari dell’1,8% (da 21.211 a 20.832).

Dall’analisi per classi di età emergono aumenti tra gli under 30 (+2,8%) e tra i 55 e 69 anni (+2,7%). In diminuzione del 2,2%, invece, le denunce dei lavoratori della fascia 30-54 anni, nella quale rientra oltre la metà dei casi registrati.

 

CASI MORTALI

Le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Istituto entro il mese di ottobre sono state 896, 49 in meno rispetto alle 945 dei primi 10 mesi del 2018 (-5,2%).

La flessione non è rassicurante, in quanto legata soprattutto agli “incidenti plurimi”, con cui si indicano gli eventi che causano la morte di almeno due lavoratori, che per loro natura ed entità possono influenzare l’andamento del fenomeno.

È proprio quello che è accaduto tra gennaio e ottobre dello scorso anno, quando gli incidenti plurimi sono stati 21 e hanno causato 76 vittime, più del doppio dei 34 lavoratori che hanno perso la vita nei 16 incidenti plurimi avvenuti nei primi 10 mesi di quest’anno.

Il raffronto appare quindi poco significativo, se si considera che la metà dei 76 decessi in incidenti plurimi dei primi 10 mesi del 2018 è avvenuta nel solo mese di agosto, funestato soprattutto dai due incidenti stradali occorsi in Puglia, a Lesina e Foggia, in cui hanno perso la vita 16 braccianti, e dal crollo del ponte Morandi a Genova, con 15 casi mortali denunciati all’Inail. Nel mese di agosto di quest’anno, invece, non sono stati registrati eventi di uguale drammaticità.

A livello nazionale, dai dati rilevati al 31 ottobre di ciascun anno, emerge una riduzione di 55 denunce per i casi mortali occorsi “in itinere” (da 297 a 242) e un aumento di sei denunce per quelli avvenuti “in occasione di lavoro” (da 648 a 654).

Il decremento ha interessato solo la gestione Industria e servizi, con 53 denunce mortali in meno (da 814 a 761), mentre l’Agricoltura ha presentato quattro casi in più (da 115 a 119), e il Conto Stato lo stesso numero di decessi in entrambi i periodi (16).

L’analisi territoriale mostra una diminuzione delle denunce di infortuni con esito mortale nel Nord-Ovest (da 260 a 232), nel Nord-Est (da 235 a 209) e al Sud (da 203 a 190), e un aumento nel Centro (da 174 a 185) e nelle Isole (da 73 a 80).

A livello regionale spiccano i decrementi rilevati in Liguria e Veneto (rispettivamente 24 e 18 decessi in meno) e gli incrementi nel Lazio (+11), nelle Marche e in Sicilia (+10 per entrambe).

L’analisi di genere, nel confronto tra i primi 10 mesi del 2019 e del 2018, mostra un andamento decrescente per entrambi i sessi: 43 casi mortali in meno per gli uomini (da 863 a 820) e sei in meno per le donne (da 82 a 76).

Segno meno anche per le denunce di infortunio con esito mortale dei lavoratori italiani (da 787 a 733) ed extracomunitari (da 114 a 112), mentre tra i comunitari si registrano sette casi in più (da 44 a 51). 

L’analisi per classi di età mostra flessioni tra gli under 20 (-7 decessi), nella fascia 30-44 anni (-38) e in quella 55-69 anni (-56), a fronte di sei morti in più per i lavoratori tra i 20-29 anni e di 49 in più per quelli tra i 45 e i 54 anni.

 

DENUNCE DI MALATTIA PROFESSIONALE

Le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nei primi 10 mesi di quest’anno sono state 51.055, 1.295 in più rispetto allo stesso periodo del 2018 (+2,6%).

Le patologie denunciate sono aumentate solo nella gestione Industria e servizi, da 39.368 a 40.989 (+4,1%), mentre sono diminuite in Agricoltura, da 9.835 a 9.530 (-3,1%), e nel Conto Stato, da 557 a 536 (-3,8%).

A livello territoriale, l’aumento ha riguardato il Nord-Est (+0,6%), il Centro (+2,7%), il Sud (+2,6%) e le Isole (+10,5%). Il Nord-Ovest, invece, si distingue con un calo pari allo 0,8%.

In ottica di genere le denunce di malattia professionale sono state 476 in più per le lavoratrici, da 13.324 a 13.800 (+3,6%), e 819 in più per i lavoratori, da 36.436 a 37.255 (+2,2%).

In crescita sia le denunce dei lavoratori italiani, che sono passate da 46.541 a 47.502 (+2,1%), sia quelle dei comunitari, da 1.032 a 1.200 (+16,3%), ed extracomunitari, da 2.187 a 2.352 (+7,5%).

Le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo (31.457 casi), del sistema nervoso (5.490, con una prevalenza della sindrome del tunnel carpale) e dell’orecchio (3.552) continuano a rappresentare le prime tre malattia professionali denunciate, seguite da quelle del sistema respiratorio (2.313) e dai tumori (2.017).

Sono state inoltre protocollate 380 denunce di malattie professionali legate ai disturbi psichici e comportamentali e 344 per quelle della cute e del tessuto sottocutaneo. I casi di patologie del sistema circolatorio sono invece 206.

 

Denunce di infortunio con esito mortale per modalità di accadimento: 

 

Fonti

TESTO:  Inail, comunicati stampa – https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/sala-stampa/comunicati-stampa/com-stampa-open-data-ottobre-2019.html

IMMAGINI:  Dati inail, elaborazione a cura dell’Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering – https://www.vegaengineering.com/osservatorio-sicurezza-sul-lavoro-infortuni-mortali/

RATING DI LEGALITA’: Come ottenerlo e come aumentarlo

L’articolo 5-ter del Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1 ha introdotto il Rating di legalità, ossia un indicatore del rispetto di elevati standard di legalità da parte delle imprese che ne abbiano fatto richiesta e, più in generale, del grado di attenzione riposto nella corretta gestione del proprio business.

A cosa serve il Rating di legalità?

Le aziende che conseguono il Rating di legalità possono fruire di numerosi vantaggi economici e finanziari:

  • benefici in sede di emanazione di bandi o di concessioni di finanziamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni (preferenza in graduatoria, punteggi aggiuntivi, quota delle risorse finanziarie allocate);
  • benefici in sede di accesso al credito bancario (tempistiche ed oneri ridotti in merito a richieste di finanziamenti bancari);
  • agevolazioni per la partecipazione a gare di appalti pubblici (riduzioni degli importi di garanzia e criteri premiali nella valutazione dell’offerta ai sensi degli artt. 93, 95 e 213 del nuovo Codice degli Appalti).

Oltre ai benefici di natura economica, il Rating di legalità permette alle aziende di godere di numerosi vantaggi competitivi:

riconoscimento ufficiale del valore etico dell’impresa, i cui effetti vanno a supportare l’immagine dell’azienda;
maggiori opportunità di business;
maggiore trasparenza e visibilità sul mercato.

Chi può richiedere il Rating di legalità?

L’attribuzione del rating può essere richiesta dalle imprese in forma individuale o collettiva che soddisfino cumulativamente i seguenti requisiti:

  • sede operativa in Italia;
  • fatturato minimo di due milioni di euro nell’esercizio chiuso nell’anno precedente a quello della domanda;
  • iscrizione al registro delle imprese da almeno due anni alla data della domanda;
  • rispetto dei requisiti sostanziali richiesti dall’articolo 2 del Regolamento attuativo in materia di rating di legalità adottato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).

Come si ottiene il Rating di legalità?

L’impresa che intende ottenere il Rating di legalità deve presentare all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato apposita domanda sottoscritta dal Legale Rappresentante e redatta mediante compilazione del formulario pubblicato sul sito dell’Autorità. L’inoltro della domanda deve avvenire per via telematica secondo le indicazioni fornite sul sito dell’Autorità.

Il Rating di legalità è rilasciato dall’AGCM, ha validità di due anni e può essere rinnovato su richiesta dell’impresa interessata. Tale riconoscimento prende la veste di un punteggio in stelle compreso tra un minimo di una e un massimo di tre ★★★.

L’impresa richiedente ottiene il punteggio base, pari a una stella, qualora rispetti tutti i requisiti di cui all’articolo 2 del Regolamento attuativo in materia di rating di legalità adottato dall’AGCM. Il punteggio base potrà essere incrementato di un + per ogni requisito aggiuntivo che l’impresa rispetta tra quelli previsti all’art. 3 del Regolamento; il conseguimento di tre +++ comporta l’attribuzione di una stelletta aggiuntiva, fino a un punteggio massimo di tre stelle.

Come si aumenta il Rating di legalità?

Per aumentare il punteggio di Rating di legalità l’impresa deve possedere una serie di requisiti premiali, tra i quali:

  • adozione di un Modello Organizzativo di Gestione (MOG) ai sensi del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;
  • adozione di processi volti a garantire forme di Responsabilità sociale d’impresa come, ad esempio, le certificazioni ISO 14001:2015, BS OHSAS 18001:2007 prossimamente sostituita con la norma UNI EN ISO 45001:2018 e SA 8000:2014;
  • adozione di modelli organizzativi di prevenzione e di contrasto alla corruzione come, ad esempio, la certificazione ISO 37001:2016.

Secondo un’indagine dell’AGCM, al 31 dicembre 2018 erano oltre 6.000 le imprese che avevano ottenuto il Rating di Legalità, e maggiore è il punteggio ottenuto maggiori sono i vantaggi.

In questo contesto, STUDIO QUALITY S.r.l. a socio unico mette a disposizione i suoi professionisti per fornire supporto alle Organizzazioni che vogliano ottenere ed aumentare il Rating di Legalità.

Rischio stress lavoro-correlato

Cos’è e come valutare il rischio stress da lavoro correlato

Lo stress da lavoro correlato è la percezione di squilibrio che un lavoratore avverte (mediante sintomi fisici, psichici e sociali che incidono sulla qualità della vita) quando le sue capacità non sono commisurate alle richieste dell’ambiente lavorativo.

Tale condizione di stress lavoro-correlato, che non va confusa con il mobbing, comporta una serie di adattamenti forzati nell’organismo umano, che se protratti nel tempo, posso trasformarsi in vera e propria patologia.

Nel 2004, l’Accordo Europeo sullo stress lavoro correlato ha definito lo stress come “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro“.

In Italia, il vigente quadro normativo, costituito dal D.lgs. 81/2008 e s.m.i., obbliga i Datori di lavoro a valutare e gestire il rischio stress lavoro-correlato al pari di tutti gli altri rischi, in recepimento dei contenuti dell’Accordo europeo e delle indicazioni metodologiche deliberate attraverso la circolare del 18/11/2010 della Commissione Consultiva Permanente, che impone l’obbligo per i Datori di lavoro di ripetere tale valutazione con una frequenza non inferiore ai tre anni.

L’obiettivo principale di tale valutazione del rischio stress lavoro-correlato auspica l’identificazione di eventuali criticità relative a quei fattori di Contenuto del lavoro (carico di lavoro, orario, pianificazione dei compiti, ecc.) e Contesto del lavoro (ruolo, autonomia decisionale, rapporti interpersonali, ecc.) presenti in ogni tipologia di azienda e organizzazione.

Un’analisi dettagliata delle criticità, dovrebbe condurre ad un’adeguata gestione del rischio con conseguente miglioramento del contesto lavorativo e dei livelli di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, avendo un impatto positivo sulla competitività aziendale e sulla qualità dei prodotti e dei servizi erogati.

Rischio stress da lavoro correlato: cosa fare

La valutazione del rischio stress lavoro-correlato prevede il coinvolgimento attivo dei lavoratori e delle figure preposte alla prevenzione, ed è articolato in 4 fasi principali:

Fase propedeutica: preparazione organizzativa delle attività di valutazione del rischio.

Valutazione preliminare: valutazione preliminare degli eventi e del Contenuto e Contesto del lavoro, attraverso un’apposita lista di controllo.

Valutazione approfondita: rilevazione delle percezioni dei lavoratori riguardo gli aspetti di Contenuto e Contesto del lavoro; Tale fase va obbligatoriamente intrapresa qualora l’esito della valutazione preliminare abbia rilevato la presenza, in uno o più gruppi omogenei, di una condizione di rischio stress da lavoro correlato e gli interventi correttivi attuati non abbiano ottenuto l’effetto di abbattimento del rischio.

Pianificazione degli interventi: Sviluppare e pianificare una strategia d’intervento per evitare che l’eventuale situazione di rischio crei danno ai lavoratori e all’azienda.

 

Per agevolare e sostenere le aziende nella realizzazione di queste attività, l’Inail ha messo a disposizione gli strumenti necessari, attraverso apposita piattaforma online, per una corretta valutazione e gestione dello stress lavoro-correlato.  https://www.inail.it/cs/internet/attivita/ricerca-e-tecnologia/area-salute-sul-lavoro/rischi-psicosociali-e-tutela-dei-lavoratori-vulnerabili/rischio-stress-lavoro-correlato.html

Per saperne di più, contattaci per una consulenza professionale.

VIDEOSORVEGLIANZA: Cambia il cartello di avviso della presenza di telecamere

Numerosi sono gli interventi intercorsi nell’ultimo anno in materia di protezione dei dati personali. Tra questi ultimi non mancano le novità in merito all’utilizzo di impianti di videosorveglianza.

Se in azienda sono infatti presenti delle videocamere, è necessario intervenire ad aggiornare la cartellonistica di riferimento che ne segnala la presenza.

La cartellonistica (che dovrà essere collocata prima del raggio di azione della telecamera, nelle sue immediate vicinanze e non necessariamente a contatto con gli impianti) dovrà presentare determinate caratteristiche ed elementi aggiuntivi rispetto a quelli precedentemente previsti come necessari, tra questi:

  1. Titolare del Trattamento (Ragione sociale, sede)
  2. Finalità della videosorveglianza
  3. Fondamento giuridico
  4. Tempi di conservazione delle immagini
  5. Diritti degli interessati

Il formato ed il posizionamento devono inoltre garantire la chiara visibilità in ogni condizione di illuminazione ambientale, anche quando il sistema di videosorveglianza sia eventualmente attivo in orario notturno.

Nuova cartellonistica di riferimento

 

Si ricorda che, per installare ed utilizzare sistemi di videosorveglianza in ambito aziendale, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, deve essere obbligatoriamente redatta (ai sensi dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori – Legge 300/1970) apposita istanza di autorizzazione, da presentare all’attenzione dell’Ispettorato del Lavoro. Tale incombenza è prevista anche qualora le telecamere siano installate all’esterno dell’edificio e/o le immagini non vengano registrate.

 

Per agevolarvi nella gestione delle pratiche necessarie e permettervi di gestire l’adeguamento dovuto alla normativa privacy, Vi invitiamo a contattarci per ricevere maggiori informazioni dai nostri tecnici.